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Nessuna estorsione. Prosciolti dalle accuse

Nessuna estorsione. La riqualificazione delle accuse in truffa e minaccia, sommata al passare del tempo e quindi alla prescrizione, ha portato N. e R. al proscioglimento da tutte le accuse. Che inizialmente erano pesanti: erano stati rinviati a giudizio per estorsione e, nel caso di N., violenza privata per evitare di pagare il lavoro di alcuni artigiani tra Azzano Decimo, Tiezzo e Chions. Difesi rispettivamente dall’avvocato Bruno Malattia e dall’avvocato Fabio Gasparini, N. e R. hanno visto le loro accuse ridimensionate in truffa e minaccia. In alcuni casi è intervenuta la prescrizione, in altri la mancanza di querela o l’assoluzione. Dal Messaggero Veneto del 26.05.2021

Erba killer, indagato il medico del 62enne morto avvelenato

La Procura di Pordenone ha disposto l’autopsia sulla salma di V. P., morto a 62 anni per avvelenamento, dopo aver ingerito delle sostanze tossiche emesse da un’erba aromatica che egli stesso aveva trovato nei prati attorno a casa e trasformato in un pesto. La decisione è stata assunta dopo aver ricevuto i verbali dei carabinieri di Meduno, che hanno ricostruito nel dettaglio quanto accaduto da quel pomeriggio di lunedì 29 marzo, quando la vittima era uscita in passeggiata per raccogliere dell’aglio orsino.

MEDICO INDAGATO

Il magistrato intende fare la massima chiarezza sulla vicenda ma – si è appreso da fonti investigative – non ci sono sospetti che qualcuno possa aver avuto un ruolo attivo rispetto alla tragica fatalità dell’assunzione dell’erba killer. Gli esami necroscopici mirano ad accertare l’esatta causa del decesso dell’uomo e vogliono dissipare qualsiasi dubbio anche sulla coerenza delle cure che ha ricevuto.

In questo senso va registrata un’importante novità nell’inchiesta: il medico di medicina generale non sarà sentito come persona informata sui fatti, perché il sostituto procuratore Carmelo Barbaro ha deciso di vagliare diversamente la sua posizione: è indagato per omicidio colposo. Si tratta di un atto dovuto, a tutela delle garanzie difensive, che consentirà di nominare un perito che partecipi all’autopsia, in programma per lunedì.

IL MEDICO E’ STATO CONTATTATO SOLO ALL’INDOMANI DEL PRANZO LETALE

La colchicina, contenuta nel colchico d’autunno o falso zafferano, è un veleno letale, per il quale non esiste antidoto. Ne bastano 5 grammi. L’unico modo per evitare la morte è sottoporsi a una lavanda gastrica entro poche ore dall’ingestione. I carabinieri della stazione di Meduno hanno appurato che V.P., 62 anni, di Travesio, ha mangiato con la compagna M. la pasta condita con il sugo di erbe spontanee, fra le quali c’era anche il colchico, lunedì 29 marzo a pranzo. La donna ha solo assaggiato il piatto, era amaro, V., invece, lo ha finito. La coppia ha avvertito un senso di malessere, ma ha pensato agli strascichi del Covid-19. Solo l’indomani in tarda mattinata, martedì 30 marzo, è stato avvisato il medico curante R.P. Hanno spiegato di aver mangiato la pasta con pesto di aglio orsino. La donna stava già meglio, V. no. Era già troppo tardi, vista la letalità del veleno?

Lo stabilirà lunedì l’autopsia, disposta dal pm Carmelo Barbaro, che sonda le ipotesi di omicidio colposo o responsabilità da colpa medica. P. ha ricevuto l’avviso di garanzia, un mero atto dovuto per consentirgli di nominare un proprio consulente: ha scelto il medico legale Lucio Bomben. Il consulente del pm Giovanni Del Ben, dovrà stabilire se, sulla base dei sintomi dichiarati, avrebbero dovuto essere disposti accertamenti clinici con tempistiche diverse. Dalle indagini difensive è emerso che la coppia non aveva idea che si trattasse del colchico: nessun accenno all’erba nella telefonata al medico, che ha prescritto dei farmaci per le intossicazioni. Si sono risentiti l’indomani e di nuovo giovedì. In serata P. era atteso dal medico, ma è peggiorato ed è stato portato in ospedale, dove è deceduto il 5 aprile. Il centro di Pavia ha decretato: avvelenamento acuto da colchicina. In Italia si contano appena 8-10 casi l’anno.

«Purtroppo è stata una grande tragedia – ha detto l’avvocato Fabio Gasparini, che difende P., professionista molto stimato –. Umanamente il dottore è molto provato dal dispiacere per la scomparsa del paziente. Dal punto di vista giuridico riteniamo che abbia operato con la consueta professionalità e disponibilità, si è messo al servizio dei pazienti e ha mantenuto con loro un costante contatto telefonico. Ha operato nel miglior modo possibile con i pochi dati in suo possesso. Nemmeno i pazienti sapevano di aver ingerito il colchico. Siamo fiduciosi che già nel corso dell’autopsia possa emergere la sua totale estraneità a qualsiasi profilo di responsabilità»

Dal Gazzettino e Messaggero Veneto del 12.04.2021

«Chiuso fuori senza cibo e spogliato dei suoi averi»: la ex condannata a tre anni. Il giudice ha disposto un risarcimento di 75 mila euro alla parte civile, costituita con l’avvocato Fabio Gasparini

Tre anni di reclusione per circonvenzione d’incapace e maltrattamenti, assoluzione dall’ipotesi di violenza privata: è la sentenza emessa dal giudice monocratico Piera Binotto.

Sul banco degli imputati una donna di 66 anni residente in provincia di Pordenone, accusata di aver picchiato con un bastone il suo ex compagno, affetto da un disturbo cognitivo, di averlo chiuso fuori di casa più volte, lasciandolo senza cibo, e di averlo indotto con lusinghe a compiere atti patrimoniali a lui sfavorevoli.

Il giudice ha disposto un risarcimento di 75 mila euro alla parte civile, costituita con l’avvocato Fabio Gasparini (la figlia della vittima, l’uomo è deceduto).

Il pm Federico Facchin aveva chiesto la condanna a quattro anni.

Nel 2017 l’avvocato Gasparini era riuscito a ottenere dal gip il sequestro conservativo dei beni dell’ex convivente per 150 mila euro (mobili, immobili, crediti).

La coppia ha convissuto in provincia di Pordenone dal 2011 al gennaio 2015. L’indagine è partita da una segnalazione dell’amministratore di sostegno dell’uomo, insospettito dal fatto che quando è cominciata la convivenza, il conto corrente e il libretto dell’uomo sono stati cointestati anche alla compagna.

La procura ritiene che la donna abbia chiesto somme al compagno per lavori di ristrutturazione della casa, lo abbia persuaso a vendere il suo appartamento in provincia di Treviso e a far confluire la maggior parte del ricavato della vendita su un conto cointestato. L’accusa ha contestato all’imputata di aver prelevato da tale conto in tutto 68 mila euro.

La difesa ha concluso invece per l’assoluzione o, in subordine, per una pena ridotta vista la parziale incapacità di volere dell’imputata, accertata da una perizia psichiatrica.

«La descrizione dei fatti contenuta nel capo di imputazione è stata progressivamente ridimensionata dalle testimonianze raccolte durante l’istruttoria», ha sottolineato nella sua memoria difensiva l’avvocato Paolo Luisa Vissat. La difesa ha sottolineato che la convivenza fra la sua assistita e la persona offesa, è stata «l’unione di due solitudini, la scelta di due persone fragili che hanno tentato di ridare un senso alla loro vita».

Il legale ha citato le deposizioni di quattro testimoni: l’uomo era felice della convivenza, lei «lo lavava, lo stirava, gli faceva di tutto».

Luisa Vissat ha inoltre sottolineato come la coppia condividesse la gestione economica di casa e risparmi, che i prelievi in contanti sono stati fatti da entrambi e solo otto dalla donna per 9.400 euro.

«Tutte le operazioni bancarie esaminate sono state eseguite in modo corretto e legittimo su un libretto cointestato, con il consenso di entrambi», ha evidenziato il difensore. Anche la scelta di condividere i risparmi con la convivente, da parte dell’uomo, è stata «del tutto libera e priva di condizionamenti».

Luisa Vissat ha obiettato che dal 2011 al 2014 l’uomo era capace, solo nel gennaio 2015, dopo la fine della convivenza, emerge il decadimento cognitivo (Dal Messaggero Veneto del 06.03.2021)