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Scatola nera installata sull’auto in tilt, ristoratore pordenonese vince causa contro l’assicurazione

Ristoratore pordenonese fa causa all’assicurazione che non lo risarcisce dopo l’incidente perché la scatola nera con Gps installata sull’auto non registra l’impatto con un secondo veicolo e anzi rileva, per errore, una velocità superiore al limite. E la vince.
Sono le 2 di notte dell’8 gennaio del 2014 quando la Volkswagen Golf del ristoratore viene urtata da una Fiat Punto che non rispetta lo stop e finisce nel fosso dopo l’impatto. Nella constatazione amichevole lo stesso conducente della Fiat Punto ammette la responsabilità. Ma alla richiesta risarcitoria inviata dal ristoratore alla sua compagnia assicurativa, la Unipolsai, non segue alcun riscontro. Dai dati del dispositivo Unibox installato sulla vettura, una sorta di scatola nera dotata di Gps che rileva velocità e localizza la posizione dell’auto, emerge un quadro diverso: l’urto fra i due veicoli non risulta. L’avvocato Fabio Gasparini, che assiste il ristoratore, obietta che le condizioni meteo avverse e in particolare la fitta nebbia potrebbero aver mandato in tilt il sistema. Per uscire dall’impasse, il ristoratore decide di fare causa alla Unipolsai per ottenere il risarcimento del danno. La tesi difensiva viene confermata dal consulente tecnico Pierluigi Zamuner, il quale confuta le risultanze della scatola nera, sottolineando che l’urto fra i due mezzi c’è stato e che l’accelerometro non l’ha registrato perché si è trattato di una collisione di striscio. Quanto alla velocità, secondo l’ingegner Zamuner la Golf procede a meno di 50 chilometri orari e non ai 104 rilevati dalla scatola nera. Come mai un tale divario? La velocità rilevata è legata alla qualità del segnale Gps, in caso di errata localizzazione dell’auto, viene calcolata in modo sbagliato. Il giudice di pace Alessio D’Andrea ha pertanto condannato Unipolsai a pagare i danni dell’auto al ristoratore per un totale di 5.100 euro, oltre agli interessi. (Dal Messaggero Veneto del 05.05.2017)

Truffa clienti ed erario per oltre mezzo milione. Costituite 5 parti civili con l’avvocato Fabio Gasparini

Avevano piena fiducia nel commercialista che aveva aperto lo studio T. a Casarsa. Quando hanno scoperto che non si occupava come avrebbe dovuto delle loro dichiarazioni dei redditi o del versamento dell’iva, era ormai troppo tardi. S. C., 41 anni, originario di San Vito al Tagliamento, attualmente all’estero, difeso dall’avvocato Anna Tortora, ieri è stato rinviato a giudizio dal gup Roberta Bolzoni. Il processo comincerà il 7 febbraio prossimo: è chiamato a difendersi dalle accuse di truffa aggravata e di varie fattispecie di falso. Ieri, in udienza preliminare, con gli avvocati Fabio Gasparini, Giuseppe Bavaresco e Francesco Furlan si sono costituite cinque parti civili. Le parti offese sono però una trentina e l’importo falsamente compensato con i modelli F24 è di 505 mila euro.

I fatti contestati vanno dall’agosto 2011 al marzo 2013. C. – a cui il pm Federico Facchin ha contestato l’aggravante dell’abuso di relazioni di prestazioni d’opera – è accusato di aver truffato i suoi clienti (artigiani, commercianti e studi tecnici di Pordenone, Casarsa, Sesto al Reghena e Zoppola). Erano tutti convinti della regolarità delle pratiche che gli avevano affidato e non si erano mai preoccupati. Ci pensava lui. In realtà negligenze ed errori hanno originato pesanti irregolarità fiscali. «Se le pratiche fossero state gestite correttamente – rileva la Procura nell’imputazione – nessun debito erariale sarebbe stato originato».

A farne le spese sono stati anche i funzionari della sede di Pordenone dell’agenzia delle entrate. C. è infatti accusato di essersi avvalso della procedura di “compensazione orizzontale”, quella che permette al contribuente di compensare crediti e debiti nei confronti dell’erario, inviando per via telematica F24 falsi. Lo avrebbe fatto in qualità di intermediario abilitato e utilizzando chiavi di accesso che erano state rilasciate ai clienti. In questo modo – secondo l’accusa – si sarebbe procurato un ingiusto profitto di 505 mila euro, poichè per l’effetto della procedura da lui avviata è scattato l’annullamento della pretesa erariale ed è stata bloccata la procedura di riscossione. (dal Gazzettino del 13.10.2016)