Autore: Segreteria

Bancarotta e intedizione fissa: decisone della Corte di Cassazione

Nei reati di bancarotta fraudolenta la sanzione accessoria si applica in misura fissa, con 10 anni di inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e altrettanti di divieto a esercitare gli uffici direttivi presso qualsiasi impresa.

La Sezione feriale della Cassazione ha definitivamente respinto il ricorso di una coppia di imprenditori veneti, difesi dell’avvocato Luigi Li Gotti e dall’avvocato Fabio Gasparini, condannati al minimo della pena (1 anno e 4 mesi) ma con la sanzione accessoria applicata in misura fissa, cioè i 10 anni di inabilitazione previsti dall’ultimo comma dell’articolo 216 della legge fallimentare.

La Corte, con la sentenza 35929/14, ha respinto anche i motivi aggiunti dei ricorrenti, che sollecitavano la remissione alle Sezioni unite per un asserito conflitto giurisprudenziale sul mancato allineamento della pena accessoria a quella principale. A giudizio della Cassazione, però, la questione è da considerarsi definitivamente risolta – e in senso sfavorevole ai ricorrenti – dopo la sentenza della Corte costituzionale 134/2012 e con il corollario della più recente giurisprudenza di legittimità, a cominciare dalla sentenza 628/14 dello scorso gennaio (si veda Il Sole 24 Ore dell’11 gennaio).

La sanzione che accompagna quella carceraria nella bancarotta fraudolenta, secondo il relatore, deve attenersi al dato letterale dell’articolo 217 della legge fallimentare (267/42), che prescrive 10 anni di inabilitazione tout court, segnando così un’eccezione al principio del Codice penale (articolo 37) che determina la sanzione interdittiva in base alla durata della pena principale. La questione va inquadrata nel dato normativo che, per la bancarotta semplice (articolo 217), prevede l’interdizione «fino a due anni», mentre per quella fraudolenta (articolo 216) indica una durata di dieci anni. La ratio di questa discrepanza, secondo una giurisprudenza ormai consolidata «è evidentemente special–preventiva e la scelta del legislatore non appare fuori dagli schemi della logica», perché nell’ipotesi più grave «si è voluto che, quale che sia la pena principale, il soggetto fosse posto in condizioni di non operare nel campo imprenditoriale dove ha creato danno e “disordine” per il lasso di tempo di due lustri; nella ipotesi meno grave, l’inabilitazione e l’incapacità hanno un “tetto” molto meno elevato e la loro effettiva durata è rimessa all’apprezzamento del giudice».

La stessa Corte costituzionale, chiamata a esprimersi sul punto, aveva dichiarato inammissibile la questione ritenendo (134/2012) che la sentenza additiva richiesta per rendere applicabile l’articolo 37 del Codice penale non costituisse una soluzione costituzionalmente obbligata, rimanendo legata a scelte affidate alla discrezionalità del legislatore. «La Consulta – scrive il relatore – ha dunque implicitamente confermato la validità dell’interpretazione secondo cui nell’attuale formulazione legislativa la pena accessoria è prevista in misura fissa (e ciò non lede alcun diritto costituzionalmente protetto)».

Altro discorso, invece, merita la sanzione accessoria dell’interdizione dei pubblici uffici, dove anche in materia fallimentare si applica la regola dell’articolo 29 del Codice penale. Quindi interdizione perpetua per condanne superiori a cinque anni di reclusione, e cinque anni di interdizione nel caso di condanna non inferiore a tre anni di carcere. (da Quotidiano Diritto Il Sole 24 Ore)

Diffamazione, blogger condannato

Il blogger ci andò giù pesante, arrivando a definire G, D. L., come una specie di mafioso. È stato condannato al pagamento di 3 mila euro di multa, 4 mila di risarcimento e 3 mila euro per spese legali, ma senza pena detentiva, T. D. F. (difeso dall’avvocato Gino Sperandio) accusato di diffamazione ai danni dell’ex presidente di Longarone Fiere. L’imputato gestisce il sito www.vajont.info e proprio attraverso la rete aveva sferrato il suo attacco a D. L.i, residente in provincia di Pordenone, ma da sempre molto noto nel bellunese e soprattutto a Longarone. D. L. (parte civile assistito dall’avvocato Fabio Gasparini), che ha avuto diverse esperienze in politica e continua ad essere attivo, era stato definito da D. F. con parole tipo «dominus dell’altrettanto mafiosa fiera di Longarone», «faccendiere ipocrita», «frequentatore e produttore di delinquenti sindaci» e «ladro nel pubblico e ladro nel privato». D. L. ne ha avuto abbastanza, decidendo di procedere: «Posso sentirmi dare del lobbista», ha commentato fuori onda, «ma sicuramente non del ladro. È inaccettabile, oltre che falso».

Il fatto risale al 2012, poco dopo che il sito era stato riattivato, in seguito a un periodo di oscuramento deciso dal giudice Giancotti in seguito alla denuncia per diffamazione presentata da Maurizio Paniz.

L’imputato ha cercato di difendersi appellandosi al diritto di critica politica, ma i suoi toni erano andati ben oltre alla normale e accettabile analisi politica.

In parte, però, le richieste della difesa sono state accettate, proprio con l’esclusione della pena detentiva da parte del giudice nella condanna pronunciata ieri.

Il pubblico ministero, infatti, aveva chiesto che il blogger fosse condannato a cinque mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno di immagine e al pagamento delle spese (dal Corriere delle Alpi del 14.11.2014)

Lite con minacce e investimento, patteggiamento sdoppia il processo

Le trattative per la compravendita di un camper avevano avuto un seguito violento. A. T., 39 anni, dovrà difendersi dall’accusa di lesioni gravi per aver schiacciato – spappolandogliela – una gamba a D. P., 38, di Sacile, a sua volta imputato di minacce. Il processo ieri si è sdoppiato. P., difeso dall’avvocato Chiara Bidon, ha patteggiato 16 giorni convertiti in 4 mila euro di multa. T., assistito dall’avvocato Fabio Gasparini, comincerà a difendersi dalle accuse nell’udienza fissata per il 13 gennaio.
I fatti risalgono al 7 agosto del 2012. I due si erano incontrati per perfezionare le trattative sulla compravendita di un camper. Ad affare concluso, T. sarebbe stato aggredito con un pugno e minacciato da P., che gli avrebbe afferrato la maglietta inserendosi all’interno un oggetto contundente. Risaliti sulle rispettive auto, T. avrebbe inseguito l’Alfa 156 di P. per avere dei chiarimenti. Nella zona artigianale di Roveredo, vicino a una cava dismessa, si erano fermati. Ad un certo punto T. avrebbe perso il controllo della sua Audi A6: a causa delle ciabatte infradito, è sempre stata la sua difesa, il piede sarebbe scivolato sull’acceleratore. Aveva travolto P. procurandogli il grave politrauma alla gamba sinistra (quattro mesi di prognosi).
Mentre a Roveredo arrivavano i soccorritori del 118 e i carabinieri del Norm di Sacile, T. andò a costituirsi in Questura e fu arrestato. Dopo un lungo interrogatorio con il gip, fu ammesso ai domiciliari, misura cautelare successivamente annullata dal Tribunale del Riesame di Trieste. (dal Gazzettino del 24.09.2014)