Autore: Segreteria

Il sito internet gli dà del ladro e lui denuncia

LONGARONE. Il sito è tornato in rete. Ma il blogger che cura www.vajont.info è di nuovo sotto processo per diffamazione. T. D. F., che è difeso dall’avvocato Gino Sperandio stavolta se l’è presa con l’ex presidente di Longarone Fiere, G. D. L., che si è costituito parte civile con il legale di fiducia Fabio Gasparini. T. D. F. gli ha dedicato parole tipo «dominus dell’altrettanto mafiosa fiera di Longarone», «faccendiere ipocrita», «frequentatore e produttore di delinquenti sindaci» e «ladro nel pubblico e ladro nel privato». G. D. L. ne ha avuto abbastanza, decidendo di procedere: «Posso sentirmi dare del lobbista», ha commentato fuori onda, «ma sicuramente non del ladro. È inaccettabile, oltre che falso».

La vicenda è approdata ieri mattina in tribunale, davanti al giudice Cristina Cittolin e alla pubblico ministero Maria Luisa Pesco. Se ne riparlerà il prossimo 14 luglio.

Nel marzo 2012, il sito con il provider in Arizona era stato riaperto, dopo essere stato oscurato un mese prima dal tribunale di Belluno, in seguito ad una denuncia per diffamazione dei deputati Domenico Scilipoti e Maurizio Paniz presentata da quest’ultimo. Il Tribunale del Riesame di Belluno aveva accolto il ricorso contro la chiusura della pagina web avanzato da circa 200 provider italiani riuniti nell’associazione Assoprovider, patrocinati dall’avvocato Fulvio Sarzana di Sant’Ippolito.

Con una decisione mai assunta prima in Italia, il giudice per le indagini preliminari che aveva disposto il sequestro, Aldo Giancotti, aveva infatti inibito ai provider italiani l’accesso a vajont.info, perchè responsabile di diffamazione. Adesso c’è questa denuncia da parte di G.D.L. (g.s.) – Dal Corriere delle Alpi 24.06.2014

Danno biologico di natura psichica per soggetto che ha percepito lucidamente l’approssimarsi della morte

 

In caso di lesione che abbia portato a breve distanza di tempo ad esito letale, sussiste in capo alla vittima che abbia percepito lucidamente l’approssimarsi della morte un danno biologico di natura psichica, la cui entità non dipende dalla durata dell’intervallo tra lesione e morte, bensì dell’intensità della sofferenza provata dalla vittima dell’illecito ed il cui risarcimento può essere reclamato dagli eredi della vittima

Il caso

La piccola B. è trasportata sulla bicicletta condotta dalla sorellina C. Questa, giunta ad un incrocio della strada pubblica, svolta a sinistra, invadendo l’opposta corsia di marcia dalla quale proviene una vettura a velocità eccessiva. L’impatto è fatale per la bambina trasportata sulla bicicletta. I suoi genitori citano in giudizio l’automobilista e la sua compagnia assicuratrice per il risarcimento di tutti i danni, sia propri che ereditari. I giudici del merito stabiliscono che v’è stato il paritetico concorso causale nella causazione del sinistro, essendosi lo stesso verificato per comportamenti gravemente imprudenti dei due conducenti dei veicoli. Alla conducente della bicicletta doveva, infatti, essere imputata non solo la violazione dell’obbligo di dare la precedenza, ma anche una gravissima imprudenza, considerato che la manovra, tra l’altro, era stata effettuata con un mezzo notevolmente lento, per di più appesantito anche dalla presenza della sorella minore, privo di dispositivi di indicazione direzionale. Al conducente della vettura, invece, doveva imputarsi l’aver tenuto una velocità superiore a quella consentita. I giudici del merito dichiarano, però, irrisarcibile il danno biologico e quello morale richiesti jure ereditario, in considerazione dell’estrema esiguità del tempo intercorso tra l’evento lesivo e il decesso della bambina. I suoi genitori propongono, allora, ricorso per cassazione, non condividendo il principio secondo cui l’esiguità del tempo trascorso tra l’incidente ed il decesso precluderebbe la configurabilità di un danno risarcibile jure ereditario, sia sotto il profilo del danno biologico che di quello morale.

La soluzione della Corte di Cassazione

La S.C. accoglie il ricorso, ribadendo che, in caso di lesione che abbia portato a breve distanza di tempo ad esito letale, sussiste in capo alla vittima che abbia percepito lucidamente l’approssimarsi della morte un danno biologico di natura psichica, la cui entità non dipende dalla durata dell’intervallo tra lesione e morte, bensì dell’intensità della sofferenza provata dalla vittima dell’illecito ed il cui risarcimento può essere reclamato dagli eredi della vittima. La Corte di legittimità affida, dunque, al giudice del rinvio il compito di motivare in ordine alla rilevanza ed all’incidenza non solo della durata dell’intervallo tra lesione e morte (ai fini della valutazione dell’esistenza e della consistenza del danno), ma anche sulla intensità della sofferenza provata dalla minore. (da Danno e Responsabilità 6/2007)

 

Responsabilità del proprietario dell’immobile per morte dell’inquilino

 

Il caso

A seguito di esplosione dovuta ad una fuga di gas consentita dallo stato di fatiscenza dell’impianto di riscaldamento, un immobile crolla e così procura lesioni mortali al suo inquilino. In riforma della sentenza assolutoria di primo grado, la Corte d’Appello condanna il proprietario dell’immobile per omicidio colposo, valorizzando la specifica posizione di garanzia in capo al medesimo, la mancata adozione di idonei dispositivi volti a impedire fughe di gas in assenza di fiamma nonché la marcata difformità dell’impianto di riscaldamento rispetto alle norme cautelari di settore. Avverso detta pronuncia l’imputato propone ricorso per Cassazione evidenziando, tra l’altro, che la persona offesa aveva piena libertà ed autonomia nella gestione dell’immobile, tanto che la stessa aveva il compito di seguire sotto ogni aspetto i relativi lavori di ristrutturazione, compresi gli interventi sull’impianto di riscaldamento.

La decisione

La Suprema Corte non condivide l’impugnativa. È corretto il richiamo del Giudice di merito al consolidato insegnamento giurisprudenziale secondo cui «deve ritenersi responsabile a titolo di omicidio colposo il proprietario che abbia ceduto a terzi il godimento di un appartamento dotato di un impianto per il riscaldamento in pessimo stato di manutenzione, qualora l’evento lesivo sia riconducibile al cattivo funzionamento di tale impianto, atteso che il proprietario di un immobile è titolare di una specifica posizione di garanzia nei confronti del cessionario delle facoltà di godimento del bene; posizione di garanzia, in virtù della quale il proprietario è tenuto a consegnare al secondo un impianto di riscaldamento revisionato, in piena efficienza e privo di carenze funzionali e strutturali». Non ha rilievo, pertanto, il fatto che la persona offesa si sia fatta carico della ristrutturazione dell’immobile; tale circostanza è «di per sé inidonea a sollevare il proprietario dalla posizione di garanzia allo stesso rigorosamente ascritta dal sistema, in ragione del particolare legame esistente tra la persona del proprietario e il bene su cui incide il relativo potere dominicale (cui risulta indissolubilmente connessa la correlativa responsabilità in ordine ai danni dallo stesso bene provocati a terzi)», almeno quando sia assente, come nel caso di specie, «un formale, chiaro ed inequivoco trasferimento di detta responsabilità in capo ad altro soggetto». Tanto meno rileva, per escludere la responsabilità dell’imputato, la complessità tecnica degli adempimenti necessari a rendere l’impianto adeguato alle prescrizioni di settore. La Corte evidenzia, infatti, che il proprietario dell’immobile era senz’altro consapevole della vetustà dell’impianto di riscaldamento e delle conseguenti situazioni di rischio che potevano interessare chiunque avesse utilizzato il fabbricato. Pertanto, non avesse voluto/potuto rendere l’impianto conforme alla normativa, l’imputato avrebbe dovuto perlomeno impedire l’utilizzazione dell’immobile da parte di terzi. Di qui la colpa idonea a integrare gli estremi del delitto contestato. (da Danno e Responsabilità 11/2013)