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Erba killer, indagato il medico del 62enne morto avvelenato

La Procura di Pordenone ha disposto l’autopsia sulla salma di V. P., morto a 62 anni per avvelenamento, dopo aver ingerito delle sostanze tossiche emesse da un’erba aromatica che egli stesso aveva trovato nei prati attorno a casa e trasformato in un pesto. La decisione è stata assunta dopo aver ricevuto i verbali dei carabinieri di Meduno, che hanno ricostruito nel dettaglio quanto accaduto da quel pomeriggio di lunedì 29 marzo, quando la vittima era uscita in passeggiata per raccogliere dell’aglio orsino.

MEDICO INDAGATO

Il magistrato intende fare la massima chiarezza sulla vicenda ma – si è appreso da fonti investigative – non ci sono sospetti che qualcuno possa aver avuto un ruolo attivo rispetto alla tragica fatalità dell’assunzione dell’erba killer. Gli esami necroscopici mirano ad accertare l’esatta causa del decesso dell’uomo e vogliono dissipare qualsiasi dubbio anche sulla coerenza delle cure che ha ricevuto.

In questo senso va registrata un’importante novità nell’inchiesta: il medico di medicina generale non sarà sentito come persona informata sui fatti, perché il sostituto procuratore Carmelo Barbaro ha deciso di vagliare diversamente la sua posizione: è indagato per omicidio colposo. Si tratta di un atto dovuto, a tutela delle garanzie difensive, che consentirà di nominare un perito che partecipi all’autopsia, in programma per lunedì.

IL MEDICO E’ STATO CONTATTATO SOLO ALL’INDOMANI DEL PRANZO LETALE

La colchicina, contenuta nel colchico d’autunno o falso zafferano, è un veleno letale, per il quale non esiste antidoto. Ne bastano 5 grammi. L’unico modo per evitare la morte è sottoporsi a una lavanda gastrica entro poche ore dall’ingestione. I carabinieri della stazione di Meduno hanno appurato che V.P., 62 anni, di Travesio, ha mangiato con la compagna M. la pasta condita con il sugo di erbe spontanee, fra le quali c’era anche il colchico, lunedì 29 marzo a pranzo. La donna ha solo assaggiato il piatto, era amaro, V., invece, lo ha finito. La coppia ha avvertito un senso di malessere, ma ha pensato agli strascichi del Covid-19. Solo l’indomani in tarda mattinata, martedì 30 marzo, è stato avvisato il medico curante R.P. Hanno spiegato di aver mangiato la pasta con pesto di aglio orsino. La donna stava già meglio, V. no. Era già troppo tardi, vista la letalità del veleno?

Lo stabilirà lunedì l’autopsia, disposta dal pm Carmelo Barbaro, che sonda le ipotesi di omicidio colposo o responsabilità da colpa medica. P. ha ricevuto l’avviso di garanzia, un mero atto dovuto per consentirgli di nominare un proprio consulente: ha scelto il medico legale Lucio Bomben. Il consulente del pm Giovanni Del Ben, dovrà stabilire se, sulla base dei sintomi dichiarati, avrebbero dovuto essere disposti accertamenti clinici con tempistiche diverse. Dalle indagini difensive è emerso che la coppia non aveva idea che si trattasse del colchico: nessun accenno all’erba nella telefonata al medico, che ha prescritto dei farmaci per le intossicazioni. Si sono risentiti l’indomani e di nuovo giovedì. In serata P. era atteso dal medico, ma è peggiorato ed è stato portato in ospedale, dove è deceduto il 5 aprile. Il centro di Pavia ha decretato: avvelenamento acuto da colchicina. In Italia si contano appena 8-10 casi l’anno.

«Purtroppo è stata una grande tragedia – ha detto l’avvocato Fabio Gasparini, che difende P., professionista molto stimato –. Umanamente il dottore è molto provato dal dispiacere per la scomparsa del paziente. Dal punto di vista giuridico riteniamo che abbia operato con la consueta professionalità e disponibilità, si è messo al servizio dei pazienti e ha mantenuto con loro un costante contatto telefonico. Ha operato nel miglior modo possibile con i pochi dati in suo possesso. Nemmeno i pazienti sapevano di aver ingerito il colchico. Siamo fiduciosi che già nel corso dell’autopsia possa emergere la sua totale estraneità a qualsiasi profilo di responsabilità»

Dal Gazzettino e Messaggero Veneto del 12.04.2021

L’avvocato Fabio Gasparini ospite della rassegna “Punti di contatto” a Ronchi dei Legionari

E’ giunta alla sua terza edizione la rassegna “Punti di contatto” organizzata dall’associazione “Leali delle Notizie” e che rientra all’interno della manifestazione “Autunno da sfogliare… e da ascoltare” organizzata dalla Biblioteca e dall’assessorato alla cultura del comune di Ronchi dei Legionari, che accompagnerà la comunità ronchese e non solo in questo periodo dell’anno.

Tema di questa edizione la vita della donna all’interno della società.

Il primo incontro dei tre previsti si è tenuto martedì 6 novembre alle ore 20.30 nell’Auditorium Comunale di Ronchi dei Legionari con la presentazione del libro “Sei mia. Un amore violento” (Bordeaux edizioni) della giornalista Eleonora De Nardis, che ha dialogato assieme a Carmelina Calivà dell’Associazione “Da donna a donna” e all’avvocato Fabio Gasparini, il quale si è recentemente occupato, quale legale di parte civile, di un notiassimo caso di femminicidio verificatosi in Friuli Venezia Giulia

 Ha introdotto e moderato la serata Arianna Boria, giornalista de Il Piccolo.

«Bombe carta? No, erano fuochi pirotecnici» Il giudice ha rimesso in libertà l’indagato per detenzione di esplosivi difeso dall’avvocato Fabio Gasparini

«Non erano bombe carta, ma semplici petardi e giochi pirotecnici di libera vendita, che ho acquistato a Caserta». Così P.P., 33 anni, operaio, originario di Caserta e residente ad Aviano si è giustificato dinanzi al gup Monica Biasutti all’interrogatorio di garanzia. Il giudice lo ha scarcerato e rimesso in libertà, in attesa che la perizia disposta sui residui del materiale esploso stabilisca se si sia trattato di petardi, come ha sostenuto l’indagato, o di bombe carta, come è stato ipotizzato invece dagli inquirenti.

Difeso dall’avvocato Fabio Gasparini, P. ha ricostruito la notte dell’arresto. Ha raccontato di essere andato sabato sera con un amico a casa del padre di lui, suo compaesano, in via Maddalena a Villotta di Aviano, per mostrargli i petardi acquistati a Caserta. In questa circostanza avrebbe fatto esplodere il primo. L’operaio ha negato intenti vandalici o intimidatori.

A lanciare l’allarme, alle 20.30, sabato, sono stati i residenti, spaventati dal boato. Vibravano persino i vetri delle case a centinaia di metri di distanza. C’è chi ha temuto lo scoppio di una bombola di gas. Da un’auto a fari spenti è stato visto gettare in strada

Accorsi sul posto i carabinieri di Aviano e dell’aliquota radiomobile di Sacile hanno notato in via Pitteri un’Alfa Romeo 147 rossa (il cui conducente è risultato estraneo ai fatti) e poco distante un uomo con una mano sanguinante che scappava a piedi dopo una seconda detonazione. Alla vista dei carabinieri il 33enne siciliano ha cercato di darsi alla fuga: da qui la contestazione di resistenza.

Le ipotesi di reato per le quali è stato indagato P. (detenzione e impiego di materiali esplodenti, esplosioni pericolose) prevedono in caso di condanna pene molto severe, dai tre ai dodici anni. «Il giudice ha ritenuto che non vi fossero i gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati contestati», ha precisato l’avvocato Gasparini (Dal Messaggero Veneto del 25.09.2018).