«Chiuso fuori senza cibo e spogliato dei suoi averi»: la ex condannata a tre anni. Il giudice ha disposto un risarcimento di 75 mila euro alla parte civile, costituita con l’avvocato Fabio Gasparini

Tre anni di reclusione per circonvenzione d’incapace e maltrattamenti, assoluzione dall’ipotesi di violenza privata: è la sentenza emessa dal giudice monocratico Piera Binotto.

Sul banco degli imputati una donna di 66 anni residente in provincia di Pordenone, accusata di aver picchiato con un bastone il suo ex compagno, affetto da un disturbo cognitivo, di averlo chiuso fuori di casa più volte, lasciandolo senza cibo, e di averlo indotto con lusinghe a compiere atti patrimoniali a lui sfavorevoli.

Il giudice ha disposto un risarcimento di 75 mila euro alla parte civile, costituita con l’avvocato Fabio Gasparini (la figlia della vittima, l’uomo è deceduto).

Il pm Federico Facchin aveva chiesto la condanna a quattro anni.

Nel 2017 l’avvocato Gasparini era riuscito a ottenere dal gip il sequestro conservativo dei beni dell’ex convivente per 150 mila euro (mobili, immobili, crediti).

La coppia ha convissuto in provincia di Pordenone dal 2011 al gennaio 2015. L’indagine è partita da una segnalazione dell’amministratore di sostegno dell’uomo, insospettito dal fatto che quando è cominciata la convivenza, il conto corrente e il libretto dell’uomo sono stati cointestati anche alla compagna.

La procura ritiene che la donna abbia chiesto somme al compagno per lavori di ristrutturazione della casa, lo abbia persuaso a vendere il suo appartamento in provincia di Treviso e a far confluire la maggior parte del ricavato della vendita su un conto cointestato. L’accusa ha contestato all’imputata di aver prelevato da tale conto in tutto 68 mila euro.

La difesa ha concluso invece per l’assoluzione o, in subordine, per una pena ridotta vista la parziale incapacità di volere dell’imputata, accertata da una perizia psichiatrica.

«La descrizione dei fatti contenuta nel capo di imputazione è stata progressivamente ridimensionata dalle testimonianze raccolte durante l’istruttoria», ha sottolineato nella sua memoria difensiva l’avvocato Paolo Luisa Vissat. La difesa ha sottolineato che la convivenza fra la sua assistita e la persona offesa, è stata «l’unione di due solitudini, la scelta di due persone fragili che hanno tentato di ridare un senso alla loro vita».

Il legale ha citato le deposizioni di quattro testimoni: l’uomo era felice della convivenza, lei «lo lavava, lo stirava, gli faceva di tutto».

Luisa Vissat ha inoltre sottolineato come la coppia condividesse la gestione economica di casa e risparmi, che i prelievi in contanti sono stati fatti da entrambi e solo otto dalla donna per 9.400 euro.

«Tutte le operazioni bancarie esaminate sono state eseguite in modo corretto e legittimo su un libretto cointestato, con il consenso di entrambi», ha evidenziato il difensore. Anche la scelta di condividere i risparmi con la convivente, da parte dell’uomo, è stata «del tutto libera e priva di condizionamenti».

Luisa Vissat ha obiettato che dal 2011 al 2014 l’uomo era capace, solo nel gennaio 2015, dopo la fine della convivenza, emerge il decadimento cognitivo (Dal Messaggero Veneto del 06.03.2021)