Autore: Segreteria

San Vito: anziana caduta, eredi risarciti

SAN VITO. Casa di riposo di San Vito condannata a pagare agli eredi di un’ospite oltre 20 mila euro, più le spese della causa, per un infortunio accaduto nel 2012. La somma è stata corrisposta nei giorni scorsi dall’assicurazione.

Dopo la morte dell’anziano aggredito dal compagno di stanza, la struttura della parrocchia dei Santi Vito, Modesto e Crescenzia martiri torna dunque sotto i riflettori. L’indennizzo, disposto dal giudice Enrico Manzon, riguarda un procedimento civile promosso dai familiari di un’anziana, deceduta nel 2013 per cause non collegate alla vicenda, con l’avvocato Fabio Gasparini. Il giudice ha accertato la responsabilità della casa di riposo nell’incidente, avvenuto il 5 luglio 2012.

L’ospite aveva riportato la frattura del femore sinistro per una caduta dalla sedia a rotelle. La colpa accertata dal giudice è quella di non aver provveduto «a sorveglianza adeguata», tra l’altro «non essendo la condotta pericolosa dell’ospite affatto imprevedibile».

Quest’ultimo aspetto è legato, stando a quanto si legge nella sentenza, alle condizioni di salute dell’ospite («demenza vascolare con disturbi comportamentali», viene specificato). Ovvero, si ritiene «comune esperienza» che gli anziani in simili condizioni possano compiere «atti imprudenti» e prevenirli è obbligo della struttura “proteggente”. Tra le parti non era oggetto di controversia la percentuale di invalidità permanente derivata dall’incidente (stabilita al 10 per cento), quanto la quantificazione del danno. Per certi aspetti, in questo caso, Manzon ha dato ragione ai ricorrenti, per altri alla casa di riposo. Il calcolo del risarcimento agli eredi, alla fine, è stato stabilito in 20.615 euro.

Alla struttura per anziani spetta anche l’onere delle spese della causa per 5.450 euro.

«Una causa civile come ne possono capitare per infortuni che si verificano di tanto in tanto, in questa come in altre strutture – osserva il vicepresidente delegato della casa di riposo, Mario Fogolin –. Purtroppo sono casi che capitano. Poi, c’è chi si sente danneggiato e chi no». Risulta impossibile, insomma, ridurre a zero questo tipo di rischi, in una struttura che ospita 264 anziani, quasi tutti non autosufficienti. Incidenti che, comunque, restano episodi isolati in un contesto assistenziale di cui è riconosciuta l’affidabilità. (dal Messaggero Veneto del 18.05.2015)

Era ubriaca, ma all’alcoltest soffia troppo piano: assolta

L’alcol-test decreta uno stato di (notevole) ubriachezza, ma al contempo avverte che la quantità d’aria soffiata all’interno del dispositivo è insufficiente. Risultato: il giudice assolve perché il fatto non sussiste.

Questo l’epilogo della vicenda di I.H., 39 anni, cittadina ucraina, fermata a marzo di due anni fa dalla Polstrada di Spilimbergo e finita nei guai per avere – almeno così sembrava, prima della sentenza di ieri – alzato troppo il gomito prima di mettersi alla guida.

La donna, quella notte, era incappata nella pattuglia a Casarsa. gli agenti avevano subito avvertito un odore di alcol nel suo alito. E già questo “sintomo” – come la parlata a bocca “impastata”, il barcollare, gli occhi lucidi – secondo la riforma del 2010 è sufficiente per far scattare la sanzione amministrativa.

Asserito che la multa ormai fosse inevitabile, si è proceduto dunque a effettuare l’alcol-test. Prima misurazione: lo scontrino del macchinario attesta un livello di 1,05 grammi d’alcol per litro di sangue, ovvero più del doppio del limite di legge. Ma, sul fondo, c’è la scritta “Volume insufficiente”. Seconda misurazione: il livello sale a 1,08, e la scritta in calce è la stessa.

Avendo superato quota 0,81, l’infrazione al codice della strada da amministrativa diventa penale. All’ucraina viene quindi assegnato un avvocato d’ufficio, il quale, nella sua accorata difesa in aula, mette in dubbio la validità della prova, in quanto, appunto, il volume d’aria soffiato nel dispositivo della Polstrada era insufficiente per la misurazione. (Dal Messaggero Veneto del 11.03.2015).

Rinviato a giudizio per stalking, violenza furti e minacce

Aveva reso la vita impossibile, secondo il capo di imputazione, a un po’ di cittadini e a un paio di dipendenti del Comune, che si è costituito parte civile: per furto in concorso, stalking e violenza privata, L. C. C., 51 anni, di Aviano, è stato rinviato a giudizio dal giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Pordenone Roberta Bolzoni. Sono dodici le condotte contestate all’uomo, messe in atto tra estate e autunno 2009.

In concorso, si sarebbe appropriato di materiale ferroso «per assecondare il suo collezionismo maniacale», come contesta la procura, selezionato per il riciclo nella piattaforma del Comune: lavatrici, sedie in plastica, frigoriferi e pneumatici; persino una targa in ottone dello studio legale dell’avvocato P. C., a Pordenone.

Cinque gli episodi di atti persecutori. Per la mancata conclusione di un contratto di compravendita di un bene mobile, una famiglia è stata oggetto di telefonate mute nel corso della notte (sino a 15), con tentativo di investimento in auto, ingiurie e appostamenti davanti a casa, tanto che la stessa famiglia, vivendo un continuo stato d’ansia, aveva rinunciato alle vacanze.

Un’altra famiglia aveva acquistato un terreno al quale l’indagato era interessato: seguirono telefonate notturne mute e un appostamento davanti alla scuola frequentata dalla figlia minorenne della coppia. Ancora, a causa di contrasti per rapporti professionali, avrebbe preso di mira un’altra famiglia, minacciando di investire il capofamiglia, se lo avesse trovato in giro in bicicletta.

Gli immobili in costruzione di proprietà di una società avianese furono lordati con uova perché il titolare aveva acquistato un terreno edificabile al quale il cinquantunenne era interessato; anche in questo caso seguirono telefonate mute. Diffamando la società, avrebbe avvicinato alcune persone interessate alle aste per ostacolarne l’esito.

Due dipendenti comunali di Aviano, inoltre, furono minacciati «per ritorsione» in quanto il Comune aveva disposto alcuni lavori pubblici «a lui non graditi» in prossimità della sua abitazione. Nel mirino dell’indagato, assistito dall’avvocato Alessandro Magaraci, anche un minore – figlio di una coppia oggetto di atti persecutori, strattonandolo, avrebbe tentato di farlo salire nella sua auto – e un avianese al quale avrebbe fatto morire sette ciliegi, tre platani e un pino, irrorandoli di diserbante.

Sono nove le parti offese, tre, compreso il Comune di Aviano, si sono costituite parte civile con gli avvocati Daniel Polo Pardise e Fabio Gasparini.

Stralciata l’accusa di invasione di terreno (che avrebbe coltivato contro la volontà del proprietario), di competenza del giudice di pace, e due capi dichiarati prescritti: detenzione di un proiettile calibro 8 e porto ingiustificato di tre coltelli e tre paia di forbici. (Dal Messaggero Veneto del 12.03.2015)