Mese: Dicembre 2017

Picchia, affama e rovina l’ex: processata. L’uomo, costituitosi parte civile con l’avvocato Fabio Gasparini, ha ottenuto il sequestro conservativo dei beni per 150 mila euro.

Chiuso fuori di casa senza cibo in varie occasioni, picchiato ripetutamente con il bastone, spogliato progressivamente dei suoi averi: è il quadro ricostruito dalla Procura di Pordenone per i quattro anni di convivenza di una coppia della Destra Tagliamento, dal 2011 al gennaio 2015. Stavolta, però, nei panni della presunta vittima di maltrattamenti e circonvenzione d’incapace – questi i reati ipotizzati dagli inquirenti – c’è un uomo di 68 anni, affetto da un disturbo cognitivo maggiore di grado lieve-moderato. Nel registro degli indagati, invece, è stata iscritta la sua ex convivente, di 63 anni. La donna è accusata anche di circonvenzione d’incapace perché stando agli inquirenti avrebbe indotto con varie lusinghe il suo convivente, 68 anni, a compiere una serie di atti patrimoniali a lui sfavorevoli. Quanti soldi ci avrebbe rimesso? Al momento l’uomo, costituitosi parte civile con l’avvocato Fabio Gasparini, ha ottenuto il sequestro conservativo dei beni (mobili, immobili e crediti) della sua ex convivente per 150 mila euro.Si tratta di un caso più unico che raro: solitamente infatti non vengono disposti simili provvedimenti. Nella sua ordinanza il gip Roberta Bolzoni precisa però che sussistono pacificamente sia «un quadro indiziario concreto e preciso circa la sussistenza delle condotte poste in essere dall’indagata» in merito alla circonvenzione d’incapace, sia il rischio concreto e attuale della dispersione delle garanzie patrimoniali del debitore, cosa che non consentirebbe, in caso di sentenza di condanna, di soddisfare il credito vantato dalla parte civile. L’ammontare definitivo della richiesta di risarcimento emergerà dall’istruttoria. Il gup Bolzoni, lo scorso novembre, ha difatti rinviato a giudizio la 63enne per circonvenzione d’incapace e maltrattamenti in famiglia. Il processo comincerà il 14 febbraio dinanzi al giudice monocratico Piera Binotto.Secondo la tesi accusatoria l’indagata avrebbe chiesto sin dall’inizio della convivenza, nel 2011, somme per effettuare diverse spese e lavori di ristrutturazione della casa e si sarebbe fatta rilasciare la delega a operare sul conto a lui intestato. Quindi, sempre secondo la ricostruzione degli inquirenti, lo avrebbe indotto a vendere unità immobiliari per 125 mila euro e a versare 18 mila euro del ricavato su un deposito a risparmio nominativo sul conto cointestato sul quale, però, buona parte dei prelievi sarebbero stati fatti dalla donna. Tre mesi dopo il saldo del conto ammontava a 46 euro. La Procura ritiene che altri 100 mila euro, ricavati dalla vendita, siano stati versati su un certificato di deposito della durata di sei mesi, poi confluito sul conto cointestato dal quale sono stati prelevati, fino al 2015, circa 59 mila euro. (Dal Messaggero Veneto del 22.12.2017)

Stalking sui vicini, assolta la maestra

Un rapporto di vicinato iniziato nel 2008, che è diventato subito un incubo: per lei, una maestra con 36 anni di servizio alle spalle, G.C. le iniziali, e per i nuovi vicini di casa, una famiglia straniera composta da madre, padre e un bambino. Dopo denunce e controdenunce, dopo che la maestra si è trasferita nel 2013 e che nel 2015 è stata colpita dall’ammonimento del questore, il processo per stalking che ieri si è concluso con l’assoluzione perché il fatto non sussiste (giudice Iuri De Biasi). Tutto era nato quando la donna, che viveva in una bifamiliaere a Fiume Veneto, si è trovata dei nuovi vicini al posto del fratello: la famiglia di immigrati, persone che lavorano, ben integrate, ha infatti acquistato all’asta una parte della casa. Quando si è trasferita, però, ha scoperto che molti spazi, a partire dal cortile, erano in comune. Dopo un’iniziale convivenza pacifica, i rapporti si sono incrinati. La maestra avrebbe messo in atto tutta una serie di dispetti reiterati al punto da ricevere prima un ammonimento del Questore e poi di finire a processo con l’accusa di cagionare ansia e paura nei vicini e di averli indotti – il minore che non giovava più in giardino e la mamma non rimaneva più sola in casa – a cambiare le proprie abitudini. I vicini hanno iniziato a denunciare ogni comportamento ritenuto volontario: danneggiamenti attraverso lo sversamento di candeggina, sui muri e sul davanzale, ma anche l’abbandono di deiezioni, di animali morti e spazzatura nelle pertinenze. Come emerso in sede dibattimentale dall’avvocato di parte civile Silvia Sanzogni – nel corso del processo sono stati prodotti anche foto e video -, i comportamenti sarebbero stati reiterati negli anni al punto da indurre la famiglia a vivere nell’ansia e a mutare abitudini. Anche il vpo Beatrice Toffolon ha chiesto al giudice nove mesi di reclusione, pena sospesa condizionata al risarcimento del danno. L’avvocato della difesa, Fabio Gasparini, oltre a ricordare che i primi anni di vicinato erano stati buoni, ha rimarcato che anche la famiglia provocava la signora (per esempio lasciando il cancello aperto per far scappare la sua cagnetta) – prova ne sono controdenunce ed esposti al Comune – e che alla fine è stata lei a subire il danno dal momento che si è trasferita dalla figlia. L’avvocato di parte civile ha ricordato però che la signora ogni giorno torna comunque nella casa. Il giudice l’ha assolta. (Dal Messaggero Veneto del 22.09.2017)